Ora che saremo costretti a non andare più allo stadio e a guardare le partite alla televisione ed a porte chiuse, capiamo quanto importanti siano, per lo spettacolo, gli spettatori ed il tifo e le coreografie delle curve. Della Curva, visto che si somigliano tutte. Gli stessi cori, gli stessi ritornelli, gli stessi slogan, con qualche inevitabile diversità locale. Forse tutto un poco noioso, ripetitivo, nulla di veramente caratteristico.
Tutte uguali le curve anche nella diversa militanza politica. Quasi tutte di destra. Destra da stadio, solo vociante nella sua moltitudine, ma serbatoio da strumentalizzare da parte dei rappresentanti politici di quella economica. Silenziosa e che impone le sue regole di cinismo e rapacità, anche in questo frangente.
Certo che a me, che ho avuto una militanza nel PCI, alcuni cori disturbano, ma, dopo un iniziale disappunto, l’amore per la squadra mi fa sperare che gli slogan non varchino i cancelli. Solo una volta mi sono sentito toccato, “stretto tra due fuochi”. Era una partita contro il Livorno, contraltare di sinistra. All’inizio, le curve mugugnavano soltanto, poi improvvisi i cori. Mi sono trovato in mezzo, seduto al mio posto, quasi tramortito, “a sinistra suonava uno schiaffo : xxxxsta pezzo di m…. mentre a destra rimbombava una sberla:comunista….. pezzo di m…. ” Non sapevo da che parte voltare la faccia!
Le curve sono quasi tutte razziste, ma non più di qualche spettatore, di età rispettabile, che ti siede accanto, che devi pregare di non insultare persino i tuoi giocatori di colore e fare uno sforzo per non alzarti ed andartene.
Napoli ed i napoletani sono, tra il razzistico ed il folclore, il bersaglio preferito della nostra curva. Sempre ad ogni partita parte il coro : “noi non siamo napoletani!“. Coro inadeguato, specie in periodi in cui il Napoli giocava meglio di noi, per fortuna ora le cose son cambiate. D’istinto, tutte le volte, mi viene da pensare, “mi dispiace per voi”, vista la mia grande stima per la capacità e vivezza intellettiva dei napoletani.
Grande è la loro inventiva, in tutto e dappertutto. Notoria è la genialità di certe iniziative, a volte al limite della legge, come l’invenzione delle cinture di sicurezza disegnate sul petto nudo o sulla maglietta.
Certe loro idee, certi loro comportamenti si sono diffusi in tutto il paese. Non so se sia partito da loro il vezzo di portare gli occhiali da sole dietro la nuca. Tra i giovani è diventato un must.
Lentamente le abitudini si diffondono non hanno confini territoriali, come i virus. Ecco sì, come il coronavirus.
Difficile è fare accettare alcuni comportamenti da tenere, anche se indispensabili, soprattutto quando la comunicazione è carente e piena di contraddizioni. Penso all’uso delle mascherine. Per molti non sono un mezzo di protezione ma un nuovo dispositivo per essere “à la page”, un nuovo look. In effetti non vengono usate per coprire naso e bocca ma in svariati modi: libere, attaccate ad un orecchio, come spallina o in mano. Ma il più trendy è portarle sotto il mento!
Dal mio balcone da “lockdown” li ho visti e li vedo passare, non solo ragazzi e giovani ma anche quarantenni, impettiti e sicuri di sé, con il collo ornato da mascherine di varie fogge e colori . Allora penso al coro dello stadio e constato che anche noi al nord abbiamo l’inventiva napoletana e mi vien voglia di gridare : “Siamo tutti napoletani!”
Ora che saremo costretti a non andare più allo stadio per un bel po’ ed a guardar le partite in televisione e a porte chiuse capisco quanto importante sia il pubblico, quanto indispensabile sia il tifo delle curve per lo spettacolo, allo stadio ed in televisione.
Spero che presto, con una ritrovata sicurezza, si possa tornare allo stadio, che si riempiano gli spalti e le curve. Nel frattempo, vista la noia del calcio silenzioso, società di calcio e network sportivi comprendano quanto valgano i tifosi, ridimensionino il costo degli abbonamenti e diano contributi legali e trasparenti alle curve, per il loro tifo e le loro coreografie.
Con l’auspicio che la curva cambi slogan sui napoletani, visto il nostro uniformato comportamento.
Ciro Gallo