Poesia

Non riesco a capirlo. Giuro che ci ho provato e riprovato. Niente. Leggo  ma non riesco. Criptico. Irritato penso: “Ma questi  non vuol dire alcunché. A chi si rivolge? Con chi vuole comunicare?”  Con i suoi simili. Con quelli che usano codici esclusivi, che intrecciano le parole, che oscurano i concetti.

Eppure mi sono obbligato a leggerlo, sforzato di capirlo, date la curiosità e la simpatia per il personaggio. Tanti aneddoti Vincenzo Consolo mi aveva raccontato su L.P.

Mi condizionava Enzo la cultura e gli autori ed io “ubbidivo” quasi sempre e disubbidivo quando i suoi giudizi erano mediati dalla “invidia” dello scrittore. Naturalmente ogni scrittore “odia” gli altri, si sente unico e Vincenzo non faceva eccezione. Sensibilissimo, diventava paternalista, quasi irridente con chi, anche se non del suo “ceto”, gli sottoponeva qualche scritto. Di estrema intelligenza, non riusciva però a penetrare questo residuo di adolescenza ,   questa aspirazione all’estrinsecazione del sé e quanto importante sia per l’uomo aver qualcuno che gli dia ascolto. Capirà così se sia il caso di continuare o desistere, senza sentirsi amputato.

Influenzato da Enzo mai ho letto Camilleri, a lui antitetico, ma non ce l’ho fatta a non leggere Bufalino. Ho lasciato a metà D’ Arrigo. Mi aveva prestato l’unica copia di Horcynus Orca che egli aveva. Niente Gadda. Due libri mi sono bastati, anche se Vincenzo lo teneva, come tanti altri, in altissima considerazione ed in parte imitava in alcuni dei suoi scritti, quelli che io,  che ho amato la sua scrittura, ho rifiutato con disappunto. Sì certo, la sperimentazione linguistica, l’esplorazione del linguaggio sono essenziali  ma devono portare ad una più facile comunicazione, ad una effettiva veritiera comprensione e non indurre una afasia comprensiva.

Ma tutto questo cappello perché? Ecco. Io scrivo poesie , non faccio il poeta. Non uso codici incomprensibili che allontanano il capire.

I codici sono un costrutto . Escludono.  Creano appartenenze.  Io non appartengo, non voglio appartenere, faccio altro. Parlo e scrivo per essere ascoltato e compreso. Esprimo i miei sentimenti in maniera ” ingenua”, semplice, non uso “costrutti o forme”.

“Io scrivo poesie non faccio il poeta”.  Amo i lirici greci che nella loro semplicità svelano il profondo.

La poesia deve essere per tutti, deve parlare del e all’animo umano che è semplice nella sua interiorità. La sua impenetrabilità è un costrutto della storia individuale nel rapporto sociale.

La poesia ci pone di fronte al nostro essere semplice.

Io non ho mai  cercato di pubblicare le mie poesie, mi sono limitato a leggerle a qualche amico. Ora però voglio farlo in maniera sistematica, in questo sito, anche se di limitata udienza.

 

Io scrivo poesie

non faccio il poeta.

Non immagini oscure

per descrivere l’oscuro di me.

Chiare ed infantili parole,

non metafore che

nascondono l’inconscio

che pretendiamo cantare.

Io scrivo poesie dell’animo

non faccio il poeta

1- febbraio 1998

 

Perché artifici?

Non cercar

nelle mie parole

costrutti o forme,

ciò che voglio comunicarti

è il mio sentire.                                3 Marzo 1998

A Zelia mia figlia

A Enzo mio amico.

Ciro Gallo