Una Storia d’amore

 

La guardava con lo sguardo di figlio, dimentico di essere medico, rinsecchita nei suoi 94 anni. Le rimboccava il lenzuolo, per proteggerla dall’aria condizionata. Non si muoveva,  non rispondeva  ai suoi richiami  rispettosi e timidi. Smise, temeva di disturbare il suo respirare lento e tranquillo.

Seduto silenzioso vicino al letto, non poteva fare a meno di pensare  che a poco sarebbe rimasto solo. Senz’altro ella sarebbe morta. Lo sguardo fisso su di lei,  la trasfigurava. In un letto ella era,  giovane donna, coricata, i capelli sciolti di un castano chiarissimo e gli occhi neri di oliva, le spalle nude. Egli accanto con le braccia protese, nella speranza  del suo abbraccio,  che pronto veniva. Lo sollevava  per le ascelle e se lo depositava in grembo.

La stessa felicità sentiva quando la madre, seduta sotto l’ulivo, in una delle loro  tante campagne, leggeva e si distraeva, vagando alla ricerca  di qualcosa che la facesse  sentir viva, nonostante la freschezza della sua gioventù. Vicino sull’erba egli respirava il suo profumo. Si inebriava, non represso e senza apprensione, del suo sudore. Si alzava di tanto in tanto e con trasporto le baciava le braccia. Sembrava non soffrire la solitudine  di figlio unico. Si appagava della presenza di lei.

Curioso, aveva attenzione a tutto ciò che gli era intorno. Passava ore a studiare l’andirivieni  delle formiche che facevano solco sul terreno, che si scontravano e cambiavano immediatamente direzione, come se si fossero scambiate qualche informazione. Spiava cose e persone, soprattuto da lontano, senza mai aver il coraggio di avvicinarsi, la ragazzina sua coetanea, della campagna accanto, che si affacciava ad una breccia  del recinto che delimitava le due proprietà. Muta ella lo fissava con insistenza, un invito a farlo avvicinare per poter parlare e giocare. Mai era riuscito ad alzarsi  e raggiungerla. Quella figura però egli l’aveva impressa e si era portata dentro come un desiderio inesaudito. 

Pensando alla solitudine degli anni precedenti e soprattutto a quella completa che si appressava, si abbandonava con trasporto, anche se con un vago risentimento, all’immagine di lei, la donna del suo desiderio, che riusciva a continuare a vivere con apparente tranquillità una specie di doppio matrimonio, quello d’affetto con lui, e quello sociale col marito. Si vedeva solo girare per casa tra le stanze mentre ella, circondata dai figli, viveva, quasi non conscia, la normalità di una seconda vita. Una sofferenza angosciosa gli annichiliva il futuro: il trascinarsi perduto nella speranza, in un amore senza presenza.

Improvvisa, davanti alla madre morente, lo scosse l’idea della vecchiaia, della morte, soprattutto il disagio della malattia. In quello stesso letto  disteso, al posto di lei, si vedeva, lavato,  imboccato da mani non amiche  e neutre. Sentì il bisogno di uscire, di andare all’aperto, di fumare. Scese, si accese una sigaretta, tirò una boccata e si rilassò. Da sempre, dai tempi dell’università, la sigaretta gli era stata compagna. Quando ritornava a piedi a casa, dopo le lezioni e soprattutto quando, la domenica mattina presto, si recava ai giardini di via Palestro da Ripamonti. Reprimeva per tutto il tempo la voglia  per abbandonarsi poi al desiderio nei viali del parco. Riempiva i polmoni di fumo e speranza. Gli dava fiducia il calore tra le dita e l’odore di tabacco. 

Si era autoinvitata e lo aveva seguito in cortile a fumare. Era capitata in reparto immediatamente dopo la laurea. Insicura, come tutti i neolaureati, fumava. La sigaretta le era sempre servita per scacciar l’ansia. In silenzio consumavano le loro sigarette. Sembrava  che ognuno vagasse altrove con i propri pensieri. Si scrutavano invece. Attratti l’un l’altro da qualcosa che li accomunava, di impalpabilmente profondo. Sentivano sciogliersi i corpi in una pulsione amicale, una di quelle simpatie istintive, costruitesi negli anni, nelle sensazioni, nei pensieri,  nelle esperienze infantili, che si ritrovano anche in persone mai viste prima e che per questo ti attraggono. Una specie di riverbero del sé, una esteriorizzazione del proprio innamoramento.

Era tornato su dalla madre. Era assopita, immersa in quel sonno vigile che precede il periodo prima della morte. Come un abituarsi a quello che presto verrà. Una anticipazione cosciente del morire, un allontanarsi e lasciare indietro la vita.

Intristito, preso dalla propria  e della sua solitudine, sempre si muore da soli, anche in mezzo a tanta gente, le accarezzava i capelli come da bambino. Ella dischiuse gli occhi e lo guardò fisso, con uno sguardo senza interrogativi. “Come stai?”le chiese. Cosi come sempre nell’ultimo periodo rispose, scandendo le parole: ”benissimo!” Era un modo non più per rassicurarlo, né tantomeno per rimproverarlo. Ormai non aveva più la forza di lamentarsi  della delusione di un figlio che aveva messo a soqquadro la propria vita sentimentale, abbandonando la famiglia, per una inspiegabile viscerale storia d’amore , che lo aveva lasciato poi solo e costretto a tornare a casa da lei. Era invece una sfida, una distaccata irrisione della morte, un gioco in cui si sa  chi sarà il vincente. Un non temerla, non pietire  né tantomeno aver paura di un dopo. Un mostrare l’inevitabile banalità di essa. Non tu, pensava, mi prenderai ma io mi consegnerò, nella mia dignità, a questo momento che è compreso nella storia dell’uomo.

La guardò con un sorriso di comprensione, capiva l’accettazione del suo trapassare.  Una tenerezza senza oggetto lo invase.

Una improvvisa vertigine lo costrinse a sedersi. Accasciato sulla sedia, con le mani si sorreggeva la testa, tentava di riaversi e soprattutto  di scacciare il pensiero di colei che gli aveva fatto vivere una intensa primavera di passione e che poi aveva scelto di continuare la sua borghese vita matrimoniale.

Cominciarono più spesso  a scendere in giardino a fumare, più spesso a frequentarsi, a stare insieme. Al lavoro avevano concordato i turni, facendoli combaciare. A lungo non si sfiorarono neanche, li soddisfaceva il parlare, lo stare, il viversi insieme. Egli la guardava e questo gli bastava. Lontano  gli sembrava adesso il momento del loro primo incontro. Cercava di ricordarlo. Non un particolare gli sovveniva. Aveva solo una visione offuscata ma intensa di quello che era stato il loro vero primo contatto fisico. Sentiva ancora adesso la dolce eccitazione e la dedizione al dono che ella gli faceva. Accarezzava ora nei pensieri il corpo di lei con tatto lieve, come acqua raccoglieva  tra le mani i suoi seni per placare la sete. Grato di quell’adolescenziale donarsi.

Un improvviso rantolo della madre lo riportò alla realtà. La guardò, niente di preoccupante.  Nel letto accanto la compagna di stanza dormiva di un sonno infantile, lento e cadenzato. Le mani edematose sopra le lenzuola. La flebo scendeva a gocce costanti. Ora i suoi pensieri erano altri. si rialzò  e riandò a fumare.

Solo, seduto su una panchina  sentiva il bisogno di averla accanto. Ella invece era in vacanza,  come una moglie, col marito che non amava ed il  giovanissimo figlio, avuto da quest’ultimo. Si sentiva triste, defraudato ma, nonostante le imputasse la mancanza di quel coraggio che egli aveva avuto, non la aveva mai rimproverata, né adesso se ne lamentava. Gli era bastato e gli bastava continuare a vederla e starle accanto. Capiva la schizofrenia del suo agire, costretta a vivere,  per i condizionamenti culturali, un matrimonio  stagnante, a cui si era dovuta adattare ed un affetto per un uomo che mai avrebbe potuto essere completamente il suo. Anch’ella aveva ristoro solo quando con lui. Soffriva quando doveva lasciarlo. Poi a casa dimenticava e viveva  una vita apparentemente senza alcuna contraddizione. Mascherava l’ansia, anche a se stessa, con le numerose sigarette che fumava.

Il corridoio buio, le finestre chiuse, gli sembrava lunghissimo. La casa vuota e rimbombante ai suoi passi. La madre era passata. Il sopore degli ultimi giorni aveva aperto le porte al niente ed ella in questo si era lasciata scivolare.

Si accese una sigaretta, trasse una boccata, tossì, gli venne in mente per un attimo la moglie e poi la figlia. Nei suoi riguardi  sentiva sempre un grande dolore ed un senso di colpa per l’amore  che le aveva sottratto. Non aveva saputo scindersi. Si era dato interamente,  rinunciando a qualsiasi altro affetto.

Guardò gli anni a venire e si immaginò solo, in compagnia della sua sigaretta, ed ella  in casa insieme al marito  con l’andirivieni dei figli. Scorse però il fumo che copriva l’ansia di lei e questo lo riempì di commozione. 

Ciro Gallo