Sempre quando viaggio mi annoio e allora scrivo.
Quelli che seguono sono scritti di noia.
SUSTANZIAZIONE.
Mi sono spogliato di ogni identificativo. Non anelli , non braccialetti, solo un orologio che scandisce il tempo rimasto.
Non voglio che traspaia, che qualcuno legga attraverso queste spie sustanziali, ciò che io sono, o che credo di essere, il che è lo stesso. Chi sono è un dubbio. Ma poi cosa vuol dire essere? Apparenza fisica? Costrutto mentale? Schizofrenia dell’io? Duplicità? Sintesi? Ah, l’anima qualcosa di malato ed invadente, sempre smembrante. Anima o pensiero ? Pensiero o network neuronale, plasticità sinaptica?
Io sono compreso in una scatola cranica, 1 kg e 300 grammi di sostanza, miliardi di neuroni che giocano, comunicano tra loro, una corrente di mille rivoli. Così poco? Così tanto per aspirare a Dio.
Ah sì, molti si consustanziano ” with pulsing pudenda”!
PAZZIA
Provinciale, credevo che anche questo, come tutti i barboni incontrati a S. Francisco fosse privo di senno. Aveva una scatolina che teneva all’orecchio. Parlava e rideva ed io guardavo. Sarà schizofrenico pensavo. Uno di quelli, ancora abbastanza giovane, andato fuori di testa, forse reduce da una delle tante guerre americane. E lui parlava e rideva ed io guardavo e pensavo alla sua diagnosi.Intanto in quella libreria, lunch room di Berkeley, studenti gli passavano incuranti vicino, con il loro tray della colazione, per nulla impressionati, come usi. E lui continuava a parlare e rideva ed io arzigogolavo. Sono uscito convinto di aver visto un povero pazzo , parlare da solo e ridere.
Anni prima, nella mia tristezza, camminavo per viale Regina Giovanna , a Milano, tornavo dall’università, non rammento se fosse l’anno di ingegneria o già a medicina. Guardavo la gente che mi veniva incontro, spiavo. Sempre io spio, cerco di conoscere, interpretare dai movimenti, dai gesti delle persone ciò che hanno all’interno ciò che li sustanzia. Sono estremamente interessato.
Veniva verso di me una donna sui cinquanta anni, magra, trascurata, non propriamente camminava, muoveva le gambe e le braccia in maniera scoordinata, una specie di danza senza senso. Parlava , interloquiva, si fermava, argomentava.
Subito come rapito la ho fissata. Lei veniva verso di me ed io guardandola mi avvicinavo a lei . E lei parlava, si fermava, interloquiva, argomentava , ed io guardavo, affascinato guardavo. Poi ad un tratto,come sorpresa, si accorse della mia presenza ed del mio guardare curioso. Seccata si diresse verso di me indispettita e minacciosa. Aveva, lei insana di mente, avuto un attimo di lucidità e si era accorta dell’intruso in quel momento della sua vita.
Comasina è una stazione del metrò come tante altre, che collega la periferia al centro. Il treno presto si riempie di gente, intenta , lo sguardo fisso, nessuno parla, si sente solo lo sferragliare delle carrozze. Nessuno guarda l’altro, interessati solo al dispositivo che hanno in mano, che loro comanda i comportamenti. Tutti concentrati , come in biblioteca al tempo degli esami. Ma quelli non studiano, non leggono, tutti giocano , ciattano, sfogliano fotografie. Io li guardo, li spio, loro non fanno caso a me, che non ho alcun dispositivo in mano. Mi scuoto improvvisamente, uno, come tanti ogni giorno, parla a voce alta, sbraita, commenta, gesticola, si gratta la testa, consiglia , rimprovera e grida, grida agitando la pancia e stringendo forte in mano lo strumento che gli consente tutto questo. Lo guardo, riguardo gli altri che non si accorgono di me e di quell’altro. Smetto. Non sono questi i matti che mi interessano.
Capisco ora che lo studente di Berkeley era uno di questi pazzi ante litteram. Parlava con uno dei primi modelli di telefonini!
MONTEROSSO
CI ACCAREZZI
QUESTO TIEPIDO SOLE
DI MAGGIO
E LA FRESCHEZZA
DELL’ACQUA DEL MARE
CI RIVIVA I GIORNI IN CUI
NON ERAVAMO COSTRETTI
AI RICORDI.
A noi 4
Ciro Gallo