Paulino

Da tempo non lo vedo più in giro  a parlare con l’altro che si porta dentro, ospite incomodo al quale si é ormai abituato, anche se non riescono a scendere a patti  l’uno con l’altro. Vivono in due, separati ed uniti.

Ricordo il giorno, una giornata cupa e calda d’aprile, l’aria era piena  di una atmosfera di apprensione , come se qualcosa di grave fosse successo. Quasi a mezza voce si diceva, con sorpresa e tristezza, di Paolino. Storie in seguito erano sorte, interpretazioni, superstizioni popolari.

Sempre aveva avuto Paolo una sua peculiarità . Correva, correva Paolo,con la sua maglia numero 7 ed i capelli lucidi ed odorosi di brillantina e di fresco pettinati, lasciava sovente il pallone dietro di sé.Il campo era sempre troppo corto. Gli si rimproveravano tanti fuori gioco, ma egli era così veloce che ora che i compagni gli lanciavano la palla  era già scattato repentinamente in avanti, oltre gli avversari. La gente lo fischiava, Tano lo capiva e lo  proteggeva, ora vedo a ragione.

Mai gli ho visto fare una azione scorretta. Aveva una sua particolare dolcezza e bontà.Giocatore espertissimo, sempre con un mucchio di schedine in mano, studiava le combinazioni. In questo, anche dopo la malattia, aveva il sopravvento su quell’altro. Onesto. Un giorno, quando ormai il suo stato era diventato cronico, entrò nel salone di Nino Emanuele e gli porse 35 mila lire dicendo: “Ti devo questi soldi per un dodici che avevamo fatto, me ne ero dimenticato”

Me lo ricordo in piazza del Municipio, un giorno di festa del paese, partecipare  ad una gara di surplace. Fermo immobile tutt’uno con la sua bicicletta per più di mezz’ora. Perse allora perché io inavvertitamente, nella calca che lo circondava, mi appoggiai alla sua ruota posteriore.

Per tanto é vissuto solo, nonostante la sua malattia si gestiva. Camminava e parlava. Stava improvvisamente muto all’approssimarsi di qualcuno,  geloso della propria dignità, come a proteggersi da qualsiasi dileggio. Alla fine non   rivolgeva neanche a me la parola  come se la mia  immagine gli risultasse ormai sconosciuta.Non mi diceva più :”To papà muriu, muriu? Un t’ ngustiari babbazzu, u ziu amerigu ‘n pararisu, ‘n pararisu è. To papà? santu , santu è” **e fuggiva  via.

Mi manca non incontrare più Paulino, lungo la strada, che cammina e parla silenzioso, anche se prima mi riempiva  di dolore vederlo, con una guancia sbarbata  e l’altra non completamente, nella crocifissione della sua malattia.

Oggi a migliaia di chilometri e tanti anni di distanza mi é sovvenuto di Paolo, che non vedo da tanto, figura amica della mia adolescenza.

** Tuo papà é morto, é morto? Non ti angustiare stupidino, lo zio Amerigo in paradiso, in paradiso é. Tuo papà? santo, santo  è

Ciro Gallo