“con una piaga maligna, dalla pianta dei piedi alla cima del capo» (v. 7)
Ragione non trovo
di una tal mia sofferenza,
oscuri sono forse i miei peccati,
accuse però non mi son rivolte.
Sordo é il mio soffrire,
da qual causa scaturisca a me é nascosto.
Scava nel mio petto l’angoscia,
e cresce il risentimento per l’inspiegabile
Ad altri non posso imputare le colpe.
Come terreno solcato da un aratro,
rivolto le zolle della mia interiorità.
Nella solitudine cerco conforto, nell’estraniarmi rifugio.
Pontificate voi che mi state intorno,
per rimproverarmi e addossare su me le colpe.
Mi guardo le mani che,
nonostante a brandelli si stacca la pelle del corpo,
restano costantemente linde.
E voi insistete a darmi consigli,
per liberarvi delle vostre responsabilità.
Nel mio buio remoto nascoste stanno le mie mancanze,
ma giustifica ciò la macerazione della mente?
Immobile al suolo mi tiene il dubbio,
un peso enorme toglie forza alle gambe.
Grida al cielo ho innalzato, dopo aver a lungo voi invocato
che mi state vicino e che avreste dovuto correre in soccorso.
Senza più voce son rimasto.
Piagate sono ora le mie palpebre,
rivolti all’interno i bulbi,
cieco sono dell’esterno.
Cerco di adattarmi all’oscurità del mio io.
Moltiplicato, come in un gioco di specchi, lo vedo,
riesco a penetrarlo e vedere, finalmente attraverso, il fuori
e scorgo come in una illusione
che tanti mio io voi siete
e che non solo a me Giobbe appartiene.
Tanti vivono il mio stesso penare
ed a me chiedono aiuto
e lamenti levano al cielo
Milano 10 agosto 2017
Ciro Gallo