Nino Amata aveva qualche anno più di noi, ripeteva per la seconda volta la terza liceo scientifico. Alto, robusto, spropositato in confronto a noi. Una specie di “Little John”. Veniva a scuola in vespa, la occupava quasi tutta. Arrivava costantemente in ritardo.
Seduto all’ultimo banco, dietro di me, mi bisbigliava con un ghigno compiaciuto : “ vado la mattina a rilassarmi” o più volgarmente “a svuotarmi” Lo faceva quasi tutti i giorni. A volte, dopo aver tirato fuori dalla tasca un cerchietto di gomma arrotolata, lo gonfiava e ci mostrava e passava sotto il naso un palloncino con una piccola escrescenza, un nasino impertinente. Dopo tanto ho capito di cosa si trattasse e da dove tornasse in quelle mattine.
Cercava di avere dei complici e di spingere qualcuno di noi a seguire, almeno per una volta, la sua strada. Un giorno ad un suo invito risposi con imbarazzo: “ Io non bevo da un bicchiere da cui bevono tutti”. Non c’era ipocrisia, nè disprezzo nel mio dire, solo un atteggiamento romanticamente adolescenziale e l’oscura apprensione che il sesso poneva ad un diciassettene di quei tempi. Penso che Nino lo abbia riferito alla sua “ansiolitico” e che questa , offesa, mi avesse rimandato degli epiteti poco gratificanti. Nè io sapevo chi fosse colei, nè lei immaginava chi fossi io, anche se abitavamo nella stessa località.
Teresa aveva la casa alla fine del paese, in un posto che nel ricordo é ancora più remoto, ora che é quasi scomparsa, ingoiata dalla speculazione edilizia. Allora era ben visibile, anche se discreta, con la sua facciata di piccole mattonelle celesti ed un garage accanto, in cui era posteggiata una simca 1000 di color verde scuro.
Appartata quasi furtiva, solitaria durante il giorno, frequentata durante la notte, Solo una volta la vidi in pieno sole con tanta gente intorno. Il generale in uno dei suoi periodici attacchi di delirio mistico si era scagliato contro quella casa, battendo violentemente la saracinesca col suo bastone.
Teresa aveva due figlie, bellissime, una diversa dall’altra, frutto di due vere passioni. Una terza ella ne ebbe per Carmino in una età più matura . Non credo che esse fossero la causa del suo mestiere. Penso si trattasse di due “incidenti”. Gli innamoramenti sono sempre un incidente, desiderato, avversato , ma necessario della professione.
In un paese piccolo come il nostro, con un unico bar, la incontravo spesso. Veniva verso le dieci del mattino a bere il caffè. Io la salutavo cordialmente, ella sembrava grata perchè nel mio modo gentile percepiva il rispetto per la persona in sè, senza le stimmate della puttana.
Niente ha mai fatto trasparire del suo lavoro. Tranne una volta. Seduta sotto lo specchio che faceva da parete, dopo aver bevuto il caffè , fumava. Le labbra carnose, pittate di rosso, aspiravano il fumo con voluttà. Il filtro della rothmans macchiato di rossetto, la sigaretta tra le dita, la mano sospesa, le volute del fumo, badava ai suoi pensieri, lo sguardo perso. Entra un signore sui 40 anni, un vestito grigio , un po’ sgualcito, una camicia a righe blu, una cravatta bordeaux slacciata al collo. In una mano una borsa e nell’altra un catalogo: un rappresentante. Si avvicina al banco, ordina, beve il caffè, si passa la lingua sui baffetti, indugia, si guarda intorno. Teresa, come per un impulso, un istinto per la preda e del guadagno, lo guardò di sottecchi, quasi non curante, accavallò le gambe, scoprendo una carne liscia fino a metà coscia. Poi, con un colpo destro, liberò la scarpa dalla caviglia e cominciò a farla dondolare sospesa con la punta del piede. Si umettò le labbra e riguardò, questa volta fissamente e con certa intensità, ma senza sfontatezza. Egli si accorse, ricambiò lo sguardo. Un calore improvviso gli invase il corpo e gli imporporò il viso. Si sentí come confuso ma soddisfatto, pieno di amor proprio : “aveva fatto conquista”. Teresa si alzò, fece qualche passo verso la porta a vetri. Si fermò sull’uscio, girò la testa con un fugace ammicco. Uscí, egli la seguí. Salí in macchina, si mise al volante, abbassò il finestrino e lo guardò ancora una volta. Acceso, eccitato, quasi con arroganza aprí lo sportello e si sedette. La macchina partí e si diresse, in pieno giorno, verso la casina dalle piastrelle celesti.
Deluso ora si svestiva. La sua “conquista” aveva un prezzo. Ella gli aveva detto quanto!
Totò era molto diverso da Tano. Dove il secondo era intelligente, il primo era torpido, uno scarso senso dell’humor, una creduloneria. Le donne di Tano erano tutte belle, affascinanti, sensuali, anche se simili. Sembravano copia l’una delle altre. Totò l’ho visto soltanto una volta con un donnino insignificante, bruttina ad onor del vero. In una cosa però batteva il fratello ed era insuperabile, nella furbizia. Questa l’aveva sempre aiutato nella vita.
All’angolo tra Mac Mahon e via Caracciolo aspettavo. La cinquecento caffé-latte la scorsi giá dall’excelsa. Era domenica mattina, la strada era vuota. Si fermò, salii. Totò alla guida, Tano accanto, io dietro. Partimmo per Novara. Il Palermo avrebbe giocato quell pomeriggio al Silvio Piola.
Non ricordo niente del viaggio nè come siamo arrivati allo stadio. Mi rivedo solamente ad un ingresso senza biglietto e con i pochi soldi da studente.
Sorridente, sornione Totò guardò me ed il fratello, fissò un addetto al controllo biglietti e ci disse; “ venite con me”. Giunto vicino al controllore, mise la mano sinistra chiusa a pugno in quella dell’addetto e con la destra, con un colpo alla spalla di ognuno di noi, ci fece segno di passare. Gli aveva allungato dieci mila lire. Forse il prezzo di un solo biglietto.
Tornava da Milano ogni anno per i bagni. Si recava in spiaggia a prendere il sole alla fine del paese, dove aveva la barca. Lí andava anche Teresa. Si metteva stesa su una sdraio, la testa sotto l’ombrellone, il corpo da matrona al sole.
Quel pomeriggio d’agosto era veramente caldo. Nemmeno la minima brezza. Teresa sudava, si asciugava il sudore con il fazzoletto e con esso cercava anche di farsi vento. Totò, in acqua, stava mettendo il moto la barca. Ella lo chiamò e gli chiese se le potesse far fare un giro, magari al largo sarebbe stato più fresco. Egli strinse gli occhi sorpreso da quella richiesta e accettò. L’aiutò a salire e partí.
Seduta a prua ella ora si beava del vento che le rinfrescava la faccia e le scombinava i capelli. Non la disturbavano neanche i sobbalzi che la barca faceva ad ogni accellerata e sbatter d’onde.
Spento il motore , ora era solo acqua, una distesa di mare silenzioso. A nord si scorgevano appena, dietro la foschia, le isole, a sud la montagna e la rocca di S. Fratello. Teresa si sdraiò. Gli occhi chiusi , si faceva cullare dal dondolio della barca. Il sole caldo sembrava non disturbarla. Quasi sonnecchiava. Totò stava seduto a poppa, indeciso, stranamente insicuro. Aveva perso la baldanza dei progetti che aveva fatto durante tutto il tragitto. Gli erano venuti meno tutto il coraggio e la furbizia. La bocca secca, non riusciva a profferir parola, la gurdava soltanto. Ella ne capí il desiderio e lo gratificò col suo corpo.
Milano 4 marzo 2016
Ciro Gallo