Mariano

Diana giaceva immobile sul letto della camera d’albergo, la scatola di diaminocillina ed il methergin sul comodino. Il viso cereo, gli occhi fissi e febbricitanti. Sudava. Di tanto in tanto si lamentava e si comprimeva il ventre. Seduto in un angolo Mariano la guardava e quasi tratteneva il respiro per non disturbarla.

Quella mattina , come fuggitivi, avevano preso il primo treno per la città. Il viaggio era stato interminabile. Silenziosi avevano evitato persino di guardarsi. Fuori dal finestrino la natura sembrava svegliarsi felice. Il mare accoglieva il sole splendente sul suo colore argento.

Puntuali alle nove si presentarono alla studio. Mariano fu fatto entrare per primo nella sala delle “visite” per consegnare “brevi manu” il mezzo milione pattuito.

Stesa sul lettino, schiena e testa in giù, gambe divaricate ed in alto, Diana ora era completamente sola. Rimasta senza pensieri, vittima di un eterno rito sacrificale. Poi qualcuno le appoggio una mascherina sul viso ed ella dormí  sognando secoli di ricordi. Dopo 10 minuti tutto era finito.

Mariano si manteneva agli studi facendo il portiere di notte e fungendo da agente di cambio per i soldati americani  della vicina base. La sua giornata era frenetica. Fughe continue dall’università all’albergo e viceversa. Nelle lunghe nottate insonni, affondata nei libri di anatomia, la sua mente non aveva pace. Era invasa dal terrore delle innumerevoli persecuzioni e fughe che la sua gente gitana aveva subito. A volte aveva l’impressione di costringere il suo corpo inquieto e nomade ad una fissa dimora. Il suo fatalismo lo rendeva perennemente insicuro. Viveva la costante sensazione della imminenza di una qualche disgrazia.

Divenne medico. Primo di una famiglia che per generazioni aveva conosciuto l’analfabetismo  e solo cultura popolare. Aveva realizzato un sogno lungo migliaia di chilometri. La felicità dei suoi gli faceva temere che tutto fosse un orribile scherzo.

L’illusione della “conquista sociale” durò poco. Tutti i problemi rimanevano insoluti, le prospettive di lavoro pressoché nulle: brevi sostituzioni  e qualche guardia medica . Diana si sentì tradita quando Mariano le comunicò che sarebbe stato necessario recarsi al nord per avere un futuro. Aveva sperato nella condotta del paese.

Dopo il fidanzamento ufficiale Mariano partì per Milano. Il suo portafogli era ricco solo di una lettera di presentazione per il prof. C. suo futuro protettore e benefattore.

Dotato di una buona intelligenza ma di non di largo respiro ideologico, Mariano aveva  capito che per inserirsi nel nuovo ambiente bisognava mimetizzarsi, vestirsi da meridionale che suscita compassione. Umile, ubbidiente, ostentatamente remissivo, si presentava  di tanto in tanto al lavoro  con Il Giornale  in bella vista.

Finito il tirocinio gli fu trovato un incarico  di assistente nell’ospedale di N.  Silenzioso, lavorò con attenzione e passione,  più delle ore richieste, mai un tirarsi indietro. Puntuali arrivarono i risultati. La solitudine e le vecchie paure però lo comprimevano e  cancellavano ogni soddisfazione.

Sorpresi, gli occhi gli erano diventati più lucidi del solito, le mani gli tremavano e madide di sudore bagnavano   quei cinque milioni in banconote, il primo cospicuo guadagno dell’ extra lavoro.  Posti sul sedile accanto, li guardava, li accarezzava, si sentiva leggero più dei suoi desideri. Sognò in un sonno epilettico. Si svegliò di soprassalto. Gli sembrò di essere rimasto bloccato nella nebbia, non seppe orientarsi, accostò la cinquecento e pianse a voce alta. Nessuno lo udì. Il suo pianto fu di una melodia viscerale e sconosciuta.

Lamentandosi rientrò nel tempo, si asciugò le guance col dorso della mano, ipnotizzò la solitudine  e fuggì a sposarsi.

Di ritorno dalla Grecia Diana era già incinta.

Milano 1982/83

Ciro Gallo